Sappiamo che la depressione è un disturbo dell’umore, molto frequente, purtroppo. Quando si è depressi ci si sente stanchi, nervosi, tristi, arrabbiati, senza speranza. Non si prova interesse per le cose che si fanno, tutto si svolge in modo meccanico, non si prova più piacere. Ci si allontana dagli altri, o gli altri si allontanano da noi. Ci si sente infelici e a volte non se ne conosce nemmeno il motivo. Le ragioni che possono portare ad una depressione sono diverse, e diversi i sintomi con cui si può mostrare (stanchezza, insonnia, ipersonnia, perdita di appetito, aumento di appetito, ansia, difficoltà di concentrazione) comune è il senso di inutilità che si prova verso se stessi, non si crede più di essere persone capaci, interessanti, ci sente profondamente soli e sconfortati.
La depressione silenziosa..
Questa condizione è piuttosto nota, basta cercare sul web per trovare spiegazioni e informazioni su questa patologia. Io invece vorrei parlarvi della cosiddetta depressione bianca, una depressione che può apparire intrattabile, insensibile ai farmaci, alla psicoterapia. In questi casi quello che è opportuno fare, dal punto di vista clinico, è rivedere la storia della persona per comprendere da cosa dipenda il suo stato di malessere.
Ci sono situazioni in cui una persona, da bambino, non ha ricevuto le considerazioni che gli spettavano, non è stato al centro dell’attenzione e dell’interesse dei suoi genitori, noi in gergo tendiamo a dire che è stato poco investito dall’amore genitoriale, ovvero poco amato, poco confortato, poco protetto, poco sostenuto dai suoi genitori, in base al suo bisogno, perché ci sono stati pochi momenti significativi di contatto in famiglia.
Può accadere che questi bambini sviluppino un senso di vergogna, un malessere provocato dalla solitudine emotiva che viene vissuto come un fallimento personale non sono abbastanza bravo da meritare l’affetto di mia madre, non sono abbastanza bello e simpatico da invogliare i miei genitori a stare con me. Da piccoli non possiamo dare la colpa ai nostri genitori per le loro mancanze, è troppo inaccettabile per un bambino; allora inizia a pensare che ci sia in lui qualcosa di sbagliato che non ha permesso ai suoi genitori di dargli l’affetto di cui aveva bisogno. Tutto questo accade inconsciamente.
Le emozioni negate..
Per comprendere questo tipo di vergogna, bisogna introdurre una breve spiegazione sulle emozioni. Ci sono emozioni di base, come la rabbia, la gioia, la tristezza che quando vengono sperimentate portano ad una sensazione di chiarezza e sollievo, anche se si tratta di emozioni spiacevoli. E poi ci sono le emozioni inibitorie, come la vergogna, la colpa, l’ansia che hanno lo scopo di bloccare l’espressione delle emozioni di base.
Se un bambino durante l’infanzia riceve poche attenzioni, pochi riconoscimenti e affetti, può arrivare alla conclusione che abbia qualcosa di sbagliato, e può provare vergogna per se stesso e per ciò che prova. La vergogna blocca la possibilità di sentire ed esprimere le emozioni di base, cosicché i bambini che provano troppa vergogna, rischiano di diventare adulti che non possono più sentire le emozioni e che non possono utilizzarle come bussola che li guidi nella vita.
Si crea una sorta di gap, uno spazio, un vuoto, che impedisce di accedere alle emozioni. Questo vuoto può causare la depressione bianca. Questa tipologia è stata introdotta da André Green che quando parla di bianco, intende qualcosa che doveva esserci e che è assente. Questa assenza è causata da un qualche intoppo nella relazione con i propri genitori, nella prima infanzia, che ha determinato una carenza affettiva, emotiva, una mancanza di interesse adeguato.
Questa mancanza potrebbe essere stata determinata da tanti fattori, ad esempio la nascita di un fratello per cui i genitori dirigono le loro attenzioni sul neonato, da un lutto improvviso, da problematiche legate a fattori della vita reale, come preoccupazioni per il lavoro, o malattie, qualsiasi cosa che possa aver distratto i genitori dal proprio figlio. Questo tipo di carenza porta a sviluppare una sofferenza senza parole, nel senso che il paziente adulto non sa dire che cosa gli sia mancato, quali sono le origini del proprio dolore, perché non sa identificare questo dolore.
La terapia..
In questi casi la terapia non ha l’obiettivo di raccogliere la storia del paziente cercando indizi per poterli curare; la terapia ha qui un’altra funzione, quella di correggere l’esperienza carente. Ci si concentra sull’incoraggiamento alla consapevolezza emotiva del paziente così come si presenta di fronte al terapeuta.
Durante le sedute il terapeuta è emotivamente presente, attento e incoraggia il paziente non solo a prestare attenzione ai suoi pensieri ma anche ai stati d’animo, alle reazioni emotive, ai cambiamenti che avvengono a livello del corpo. Quando il paziente piange, ad esempio, bisogna provare ad allargare il campo e chiedere se riesce a spiegare come si sente, anche nel corpo, per collegare il sentimento con le reazioni che prova in quel momento. Questo consente di fare quell’apprendimento delle emozioni che non è avvenuto in passato.
Lentamente, nel corso della terapia, la persona impara a connettersi con le proprie emozioni, questo restituisce il senso di ciò che gli accade dentro, di sentire quali sono i sentimenti che prova, e da lì comprendere i suoi desideri. In questo modo la persona impara a sentirsi di nuovo vivo.