Il panico è un fulmine a ciel sereno, una reazione estrema di paura, in cui il battito cardiaco, il ritmo respiratorio, la sudorazione arrivano alle stelle, questa escalation porta alla sensazione di perdita totale di controllo e alla paura di morire. Si tratta di un disturbo che mina nel profondo il senso di sicurezza della persona, che si trova in uno stato costante di allarme per la paura di morire o di impazzire. Il panico è strettamente associato alle sue manifestazioni fisiche che attivano pensieri e convinzioni minacciose scatenando altre reazioni di allarme, generando un circolo vizioso in cui le alterazioni del corpo alimentano i pensieri che a loro volta intensificano le sensazioni corporee del panico. Porta al black out della mente e del corpo, si crea un corto circuito che manda in tilt l’equilibrio psicofisico della persona che ne soffre.
COSA SCATENA L’ATTACCO DI PANICO
La reazione di panico viene attivata quando i nostri sensi (vista, udito, olfatto) o i nostri pensieri e la nostra immaginazione colgono un segnale di pericolo. A questo punto, il cervello attiva una serie di modificazioni che ci mettono in uno stato di allerta, arrivano le sensazioni fisiologiche della paura: sudorazione, tachicardia, aumento della pressione sanguigna, scariche di adrenalina. Tutto questo si attiva prima ancora che la nostra mente abbia la percezione consapevole del segnale di pericolo, tutto avviene in automatico, in modo inconsapevole: prima di sapere perchè abbiamo paura, noi proviamo la paura. Questo tipo di funzionamento, in cui la sensazione della paura anticipa la consapevolezza della stessa, è assolutamente evolutivo perchè serve a proteggerci e a rispondere immediatamente ai segnali di pericolo. E’ un meccanismo naturale importante per salvare la nostra vita nelle situazioni di pericolo.
COME UN MECCANISMO CHE PROTEGGE LA NOSTRA VITA TRASFORMARSI IN UNA TRAPPOLA PSICHICA?
Quando la nostra mente inizia a percepire pericoli che non sono effettivamente tali, quando questo meccanismo automatico si attiva anche quando non serve, la persona vive in un costante stato di allerta, di minaccia e quindi si attiva la reazione di panico anche di fronte a stimoli innocui e a situazioni neutre. Spesso accade, che dopo le iniziali prime esperienze di panico all’organismo non servono più stimoli esterni per attivare la reazione d’ansia, sono sufficienti immagini mentali che attivano emozioni in grado di portare all’attacco di panico.In questo modo la mente si intrappola da sola, diventiamo vittime di noi stessi.
LA MENTE CHE SI LIBERA: LA TERAPIA
Il lavoro terapeutico consiste nell’acquisire la consapevolezza del funzionamento del problema e dei risvolti che comporta nella vita della persona, in termini di sofferenza e restrizione della libertà di movimento. Si lavora anche sulle possibili perdite e cambiamenti che hanno interessato la persona prima dell’insorgenza degli attacchi, che possono aver attivato la sensazione di perdita di controllo sulla propria vita, attivando, in terapia, un percorso di elaborazione del lutto e della perdita. Si lavorare sulla capacità della persona di cedere al controllo. Spesso abbiamo di fronte persone molto organizzate, che provano a mantenere il controllo sulla loro vita, in modo che tutto sia prevedibile e gestibile. Lavorare sull’incontrollabilità della vita, sul fatto che non tutto può essere posto sotto controllo è fondamentale in questo tipo di disturbo.
Un altro aspetto è la possibilità di lavorare sulla paura, e sulla sua accettazione. La paura fa parte della nostra vita, evitarla, negarla non serve a cancellarla, piuttosto è produttivo il suo accoglimento. Va accolta come un’emozione proprio come tutte le altre, ed è importante che esista, attraverso di essa possiamo orientare meglio il nostro comportamento. “Si può essere coraggiosi a patto di essere paurosi, il resto è incoscienza” scrive Nardone in un suo libro. Imparare ad accettare e ad avere considerazione dei propri sentimenti di paura ci aiuta nel superare le nostre difficoltà, anche quella del disturbo di panico. Se le accettiamo, le nostre paure possono trasformarsi in punti di forza, se le neghiamo o le reprimiamo, ci possono cogliere alla sprovvista, ci possono sconvolgere e ci possono portare al panico. Questo percorso di consapevolezza si lega alla fiducia nelle capacità personali, utilizzate per affrontare situazioni di minaccia e pericolo. Essere consapvoli delle paure ci aiuta a scegliere la strategia adatta per affrontarle, questo ci rende capaci di misurarci con gli ostacoli della vita, guadagnando in sicurezza personale. Rieducarci ad affrontare le paure, significa avere la capacità di guardarle, esserne consapevoli, solo allora potremmo imparare a gestirle senza l’esperienza del panico, anzi, aumentando il senso di fiducia in noi stessi.
Il panico è un segnale che qualcosa non và, qualcosa che ha a che fare con la nostra vita, il nostro modo di stare con noi stessi e con gli altri, ecco perchè bisogna recuperare la dimensione della consapevolezza di sè. Una buona terapia deve portare all’estinzione dei problemi di panico, passando per la comprensione di questo disturbo, da cosa dipende, cosa lo alimenta, quale paura si nasconde dietro; una buona terapia deve donare consapevolezza e fiducia nelle proprie risorse personali.
IL MECCANISMO DEL DISTURBO DI PANICO
Chi soffre di attacchi di panico ha paura di ciò che può accadere, di un nuovo attacco e questo influenza i suoi pensieri, comportamenti, la sua idea di vita e le sue prospettive future. La persona che soffre di questa patologia cerca di controllare o evitare tutte quelle condizioni che possono scatenare la paura e il panico: è proprio questo tentativo di controllo che conduce alla perdita del controllo!
Si inizia con il controllare continuamente le proprie reazioni, si presta attenzione al battito cardiaco, al respiro per osservarne un loro aumento; la persona si spaventa alla piccola modificazione che avverte nel proprio corpo e la interpreta come il segnale di inizio della reazione di panico, ci si spaventa e i parametri fisiologici iniziano ad alterarsi realmente, questo aumenta la paura e alla fine attiva la reazione di panico.
La paura patologica scatta appena ci si concentra sull’ascolto di se stessi e sul controllo delle proprie funzioni e reazioni. L’eccesso di controllo purtroppo alimenta la durata del disturbo.
Un altro caratteristico comportamento delle persone che soffrono di attacchi di panico è l’evitamento: cercano di eludere tutte quelle situazioni che potrebbero attivare il panico, perchè giudicate pericolose. Questo modo di reagire, costituisce una conferma della pericolosità della situazione e dell’incapacità della persona di gestirla, aumentando le paure successive: ogni evitamento prepara a quello successivo, attivando una catena limita il proprio raggio d’azione e le occasioni di contatto con il mondo e con gli altri. Anche in questo caso, la strategia che serve a difendersi in realtà intensifica il disturbo, non solo ma alimenta un senso di sfiducia nelle proprie risorse non in grado di superare le difficoltà.
La persona che non si sente capace di affrontare situazioni critiche, inizia ad appoggiarsi agli altri per ricevere aiuto e sostegno e rassicurazione. I rapporti con gli altri diventano dei legami basati sulla necessità, sul bisogno, sulla richiesta di protezione, e questo alla lunga logora le relazioni, e porta la persona verso uno stato di totale dipendenza dagli altri, incapacità di stare da soli e di affrontare qualsiasi difficoltà.
Riassumendo: il disturbo inizia da un primo e di solito piccolo momento critico che apre alla persona la percezione di perdita di controllo. A questo punto, la persona reagisce incrementando il suo controllo che paradossalmente incrementa, invece che ridurre, le sensazioni di vulnerabilità e ansia e in definitiva le reazioni di panico.
LA COMPRENSIONE PSICOLOGICA
Molto spesso l’attacco di panico emerge come l’esito esterno di una serie di cambiamenti interni alla persona, cambiamenti che generano esiti disfunzionali. E’ frequente, nel periodo antecedente all’insorgenza dell’attacco di panico, che la persona abbia sperimentato una separazione, un lutto, una perdita. Si tratta di un cambiamento improvviso, vissuto in modo traumatico nella vita della persona, che non è stato scelto e che non si è potuto evitare. Da qui l’esperienza di perdita di controllo della propria vita. Si tratta di esperienze forti come la morte di una persona cara, la perdita improvvisa del lavoro, la rottura di una relazione: situazioni imprevedibili e incontrollabili. In seguito a queste esperienze di perdita non elaborate, può accadere che qualche mese dopo, o dopo un anno, inizino a manifestarsi i primi attacchi di panico, in cui si ripete l’originaria esperienza di perdita di controllo, questa volta sentita sul proprio corpo. In questo disturbo, il corpo esprime la paura e il terrore che la perdita traumatica, avvenuta tempo addietro, ha generato e che non è stata affrontata in modo consapevole, non è stata mentalizzata. Per questo motivo è importante risalire all’evento scatenante avvenuto qualche tempo prima, in modo da rielaborare l’accaduto per far scemare gli attacchi di panico.
A volte, purtroppo, nel trattamento iniziale la persona preferisce usare un sostegno farmacologico per tamponare la reazione, questa soluzione se non accompagnata da terapia psicologica, è efficace solo inizialmente, poi perde di efficacia e diventa una soluzione che abitua la persona a delegare al farmaco la soluzione di tutti i mali, senza la possibilità di attivare risorse interne. La strada principale per la guarigione resta il processo di consapevolezza di se stessi, e di ciò che ci è accaduto e degli effetti sulla nostra persona.
“Guarda la paura in faccia e questa smetterà di turbarti”(Sri Yukteswar)
Per approfondimenti “Non c’è notte che non veda il giorno” Nardone.