Depressione, capirla e curarla

Depressione, quando la maliconia diventa una compagna di vita

Quando la depressione arriva avvolge tutto di una tonalità grigia, coinvolge pensieri, sentimenti, vissuti, comportamenti. E’ un groviglio sfuggente e mutevole di sofferenza. Tutto appare impossibile e senza speranza. La mente è affollata da pensieri tristi e dolorosi, che non lasciano spazio ad altro. Ci si ritrova a piangere da soli senza un motivo. Si rimpiange il passato e si ha una forte paura del futuro, che sembra non presagire niente di buono, si vive in un mondo buio, non c’è spazio per la gioia, per la speranza.

E’ una condizione molto pesante per chi la vive, e per chi sta accanto alla persona depressa, per il senso di immodificabilità e sconforto costanti, comporta un costo enorme per la società non solo in termini di sofferenza  emotiva ma anche per le numerose malattie fisiche che la possono accompagnare.

Negli ultimi anni la depressione si è diffusa enormemente, forse a causa dell’intensificarsi dell’individualismo e la perdita di relazioni sociali. In passato nessuno viveva da solo, oggi, invece, la percentuale di coloro che vivono da soli in casa è molto cresciuta e la solitudine e i problemi relazionali contribuiscono all’insorgere della depressione. Nella nostra cultura diminuisce sempre più il senso di appartenenza ad una comunità, ad un gruppo. Oggi le persone siedono sole davanti alla tv come ipnotizzate guardando la vita di qualcun altro, nell’innumerevole serie di reality che spopolano, su facebook, instagram. I rapporti con gli Continue reading “Depressione, capirla e curarla”

Tu chiamale emozioni…tra mente e cuore

Vorrei parlarvi di emozioni, di quanto sono importanti per comprendere la nostra vita interiore e la vita di relazione con gli altri, per questo è utile conoscerle e saperle utilizzare al meglio. Parlare oggi, nella nostra società di emozioni, di benessere emotivo e psicologico significa trattare un tema difficile, perchè questi temi sembrano, spesso, molto lontani… Depressione, stress, ansia sono in crescente aumento tra gli adulti e la situazione peggiora se consideriamo i giovani e gli adolescenti.

Le spiegazioni sono molte, alcune riconducibili all’evoluzione rapida della società, ai cambiamenti repentini a cui siamo sottoposti nella nostra vita, alla velocità di sviluppo delle nuove tecnologie che impongono un’altrettanto veloce capacità di adattamento. Queste spinte rapide si accompagnano a un sempre maggiore isolamento e solitudine sociale, a tentativi sbagliati di gestione delle emozioni negative e a confusione esistenziale. Oggi sembra che la gente sia confusa rispetto alle emozioni, che non sappia come gestirle, soprattutto mi riferisco alle emozioni negative, come se non sapesse inserirle coerentemente nella propria vita e utilizzarle al meglio per orientare il comportamento.

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Fame emotiva..quando le emozioni diventano cibo

A molti sarà capitato di consolarsi con il cibo dopo una giornata pesante: un pò di cioccolata, un gelato o dei biscotti, un pacchetto di patatine fritte aiutano a superare le frustrazioni del momento.

Per alcuni, però, tutto questo diventa un’abitudine. Usano il cibo come un modo usuale per gestire emozioni negative. Accade, allora, che l’alimentazione e i suoi scopi si modificano: non si mangia più perchè si ha fame, ma piuttosto perchè ci si sente tristi, arrabbiati, vuoti, depressi, annoiati. Questo tipo di comportamento diventa automatico, incontrollabile tanto da generare un vero e proprio problema sentito come ingestibile e di cui si fa fatica a parlare.

Le persone che usano il cibo come antidoto alle emozioni, vivono questa situazione con vergogna e senso di colpa, e per tale motivo raramente chiedono un aiuto per uscire da questo vortice. Hanno la convinzione che non si possa far nulla. In questi casi l’alimentazione assume uno schema incontrollato e ingestibile, aprendo la strada alle abbuffate compulsive.

 

COSA ACCADE QUANDO CI SI ABBUFFA? 

Si prova una voglia irrefrenabile di cibo, è una forza potente che spinge a mangiare, talmente forte da catalizzare tutta la nostra attenzione sul cibo e su come procurarcelo. Così ci mettiamo in macchina per dirigerci al supermercato, o ci alziamo dalla nostra scrivania per andare al distributore di merendine dell’ufficio. Continue reading “Fame emotiva..quando le emozioni diventano cibo”

Emozioni a tavola: Fare pace con il cibo per ritrovare il proprio equilibrio alimentare

 Fame emotiva…..quella voglia di mangiare, di riempirsi  non perché si è affamati ma in risposta a uno stato emotivo  (tristezza, rabbia, noia)

Ti è mai capitato di  svuotare, quasi senza accorgertene, un intero pacchetto di biscotti  o una vaschetta di gelato ?


Oggi puoi  affrontarlo insieme a noi:
 lo studio di psicologia Artemisia propone un percorso per affrontare il problema con l’aiuto degli incontri di gruppo seguiti da psicologhe professioniste: scarica i volantini con tutte le informazioni o visita il nostro evento su facebook:

Emozioni A Tavola volantino 1    Fame emotiva… (2)


 

 

La Sefie Mania

selfie addictedQualche tempo fa nel web girava voce che  l’APA (American Psychological Association)  avesse coniato una nuova tipologia di disturbo mentale: il selfitis, un comportamento ossessivo compulsivo che consiste nel farsi continuamente scatti che poi vengono postati sui social media, un modo per gestire le carenze nella stima di sé e per colmare il vuoto nella propria intimità.
In realtà il disturbo non è mai stato inserito nel DSM V (manuale diagnostico dei disturbi mentali), e di fatto non lo si trova tra i manuali di psichiatria. Eppure sappiamo che di selfitis si può morire nel mondo. Diversi sono i casi di giovani che possono morire a causa di un selfie perché si sono esposti da un dirupo, o perché sono stati travolti da un treno in corsa o sono caduti da un terrazzo nel tentativo di ritrarsi in pose estreme e accattivanti. Sembra addirittura che le Filipine siano la capitale mondiale di morti per selfie e in alcune mete turistiche è stato vietato scattarsi dei selfie proprio per evitare che la gente si metta in situazioni di pericolo.

E’ vero che la selfitis non è ufficialmente considerata come una patologia mentale, eppure sembra sia diventata una mania pericolosa che spesso si associa alla presenza di fragilità narcisistiche.

Vorrei citarvi il caso di un ragazzo adolescente di New Castle che usava in modo compulsivo i selfie. Danny oggi ha circa 21 anni ma nella sua adolescenza, a causa della dipendenza da selfie ha abbandonato scuola, amici e ha rischiato la morte.

Passava molto tempo a scattarsi selfie, fin dal mattino, arrivando tardi a lezione; o ancora passando buona parte delle lezioni chiuso in bagno a farsi selfie sfruttando lo specchio. Lo scopo di tanti selfie da parte di Danny era di valutare se fosse a posto fisicamente, se tutto fosse ok nella sua immagine, se la sua “pelle” avesse una buona grana. Danny postava gran parte delle sue foto on line sui vari social network, nel tentativo di ottenere like e followers.

Era costantemente alla ricerca del selfie perfetto che lo mostrasse al meglio, per cui si dedicava a questa ricerca in modo compulsivo. Questa ossessione era talmente forte e crescente che il giovane non riusciva più ad uscire di casa, compromettendo gravemente la sua salute. Il circolo vizioso si interrompe quando i genitori di Danny lo ricoverano in clinica in seguito ad una ingestione di farmaci, un tentativo di suicidio che per Danny rappresentava l’unico modo per staccarsi dalla sua ossessione.

La malattia di Danny non è la selfitis, ma una forte carenza di autostima, un disturbo dismorfofobico della personalità (vedersi come brutti, mostruosi, avere un corpo deforme, orripilante) e il meccanismo del selfie diventava un mezzo per riuscire a gestire tutto questo, diventando una vera e propria dipendenza.

Certo il caso di Danny è un caso estremo, ma vale la pensa riflettere quanto nella società in cui viviamo la selfitis abbia preso il posto della vita reale, della capacità di godere della realtà in prima persona, senza il bisogno di ricevere il supporto e l’approvazione dei gruppi sui social media. A questo proposito vi consiglio di vedere questo video in cui viene, crudamente rappresentata l’ossessione per i selfie.

Le persone con certe vulnerabilità nella propria sfera intima, nella propria autostima, o che soffronno di dismorfismo corporeo, o ancora gli adolescenti (molto sensibili alle tematiche dell’apparire e dell’essere accettati  dal gruppo) possono essere maggiormente esposti a sviluppare questa forma di dipendenza, senza dimenticare, come citavo prima, tutti quei casi in cui le persone si espongono a rischi nel tentativo di fare dei selfie.

Cosa fare? Nei casi preoccupanti, come nel caso di Danny, l’approccio può consistere  nel ridurre gradualmente l’accesso allo smathphone, che è quello che i suoi terapeuti hanno fatto con lui. Dopo questa fase di “disintossicazione” si potrebbe lavorare alla ricerca della causa che ha portato a questo eccesso, ovvero  risalire a quelle vulnerabilità e insicurezze della persona che possono dare giustificazione del comportamento ossessivo e compulsivo nell’uso dei selfie.

 

Riferimenti:

http://www.mirror.co.uk/news/real-life-stories/selfie-addict-took-two-hundred-3273819

 

 

Il segreto della felicità

La felicità è qualcosa che tutti vogliamo, tutti la cerchiamo ma in pochi sanno come raggiungerla

Oggi, siamo costantemente bombardati da messaggi che ci dicono che per essere felici dobbiamo avere le cose giuste, il partener giusto, il fisico perfetto e scolpito, lo smartphone di ultima generazione…insomma tutta una serie di target esterni che dovrebbero renderci felici. E noi ci impegniamo in questa ricerca! Presto, però, scopriamo che quando raggiungiamo queste cose, in realtà non cambia niente. Possiamo sentirci felici e soddisfatti ma solo per un breve intervallo, nel lungo periodo la situazione rimane la stessa.

Perchè?

C’è una cosa che bisogna sapere: il nostro cervello, che utilizziamo per organizzare la nostra vita, per raggiungere i nostri target, non sa dirci a priori se e quando saremo felici. Non possiamo sapere cosa ci farà felici se prima non la proviamo, solo l’esperienza ci insegna che una determinata cosa ci rende felici.

Stare seduti a fantasticare su quanto potremmo essere felici avendo questa o quella cosa, non serve, perchè non abbiamo provato realmente quelle cose e quindi non possiamo sapere se la nostra vita ne uscirà migliorata da quell’esperienza, in questo senso non si possono fare previsioni!

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C’è poi un altro motivo per cui il nostro cervello ci rende le cose difficili, nella ricerca della felicità. Quando raggiungiamo un obiettivo, otteniamo una scarica di dopamina nel cervello, Continue reading “Il segreto della felicità”

La depressione bianca

depressione-bianca-e1464517903651-770x430Sappiamo che la depressione è un disturbo dell’umore, molto frequente, purtroppo. Quando si è depressi ci si sente stanchi, nervosi, tristi, arrabbiati, senza speranza. Non si prova interesse per le cose che si fanno, tutto si svolge in modo meccanico, non si prova più piacere. Ci si allontana dagli altri, o gli altri si allontanano da noi. Ci si sente infelici e a volte non se ne conosce nemmeno il motivo. Le ragioni che possono portare ad una depressione sono diverse, e diversi i sintomi con cui si può mostrare (stanchezza, insonnia, ipersonnia, perdita di appetito, aumento di appetito, ansia, difficoltà di concentrazione) comune è il senso di inutilità che si prova verso se stessi, non si crede più di essere persone capaci, interessanti, ci sente profondamente soli e sconfortati.

La depressione silenziosa..

Questa condizione è piuttosto nota, basta cercare sul web per trovare spiegazioni e informazioni su questa patologia. Io invece vorrei parlarvi della cosiddetta depressione bianca, una depressione che può apparire intrattabile, insensibile ai farmaci, alla psicoterapia. In questi casi quello che è opportuno fare, dal punto di vista clinico, è rivedere la storia della persona per comprendere da cosa dipenda il suo stato di malessere.

Ci sono situazioni in cui una persona, da bambino, non ha ricevuto le considerazioni che gli spettavano, non è stato al centro dell’attenzione e dell’interesse dei suoi genitori, noi in gergo tendiamo a dire che è stato poco investito dall’amore genitoriale, ovvero poco amato, poco confortato, poco protetto, poco sostenuto dai suoi genitori, in base al suo bisogno, perché ci sono stati pochi momenti significativi di contatto in famiglia.

Può accadere che questi bambini sviluppino un senso di vergogna, un malessere provocato dalla solitudine emotiva che viene vissuto come un fallimento personale non sono abbastanza bravo da meritare l’affetto di mia madre, non sono abbastanza bello e simpatico da invogliare i miei genitori a stare con me. Da piccoli non possiamo dare la colpa ai nostri genitori per le loro mancanze, è troppo inaccettabile per un bambino; allora inizia a pensare che ci sia in lui qualcosa di sbagliato che non ha permesso ai suoi genitori di dargli l’affetto di cui aveva bisogno. Tutto questo accade inconsciamente.

Le emozioni negate..

Come-superare-la-paura-e-la-vergogna

Per comprendere questo tipo di vergogna, bisogna introdurre una breve spiegazione sulle emozioni. Ci sono emozioni di base, come la rabbia, la gioia, la tristezza che quando vengono sperimentate portano ad una sensazione di chiarezza e sollievo, anche se si tratta di emozioni spiacevoli. E poi ci sono le emozioni inibitorie, come la vergogna, la colpa, l’ansia che hanno lo scopo di bloccare l’espressione delle emozioni di base.

Se un bambino durante l’infanzia riceve poche attenzioni, pochi riconoscimenti e affetti, può arrivare alla conclusione che abbia qualcosa di sbagliato, e può provare vergogna per se stesso e per ciò che prova. La vergogna blocca la possibilità di sentire ed esprimere le emozioni di base, cosicché i bambini che provano troppa vergogna, rischiano di diventare adulti che non possono più sentire le emozioni e che non possono utilizzarle come bussola che li guidi nella vita.

Si crea una sorta di gap, uno spazio, un vuoto, che impedisce di accedere alle emozioni. Questo vuoto può causare la depressione bianca. Questa tipologia è stata introdotta da André Green che quando parla di bianco, intende qualcosa che doveva esserci e che è assente. Questa assenza è causata da un qualche intoppo nella relazione con i propri genitori, nella prima infanzia, che ha determinato una carenza affettiva, emotiva, una mancanza di interesse adeguato.

Questa mancanza potrebbe essere stata determinata da tanti fattori, ad esempio la nascita di un fratello per cui i genitori dirigono le loro attenzioni sul neonato, da un lutto improvviso, da problematiche legate a fattori della vita reale, come preoccupazioni per il lavoro, o malattie, qualsiasi cosa che possa aver distratto i genitori dal proprio figlio. Questo tipo di carenza porta a sviluppare una sofferenza senza parole, nel senso che il paziente adulto non sa dire che cosa gli sia mancato, quali sono le origini del proprio dolore, perché non sa identificare questo dolore.

La terapia..

In questi casi la terapia non ha l’obiettivo di raccogliere la storia del paziente cercando indizi per poterli curare; la terapia ha qui un’altra funzione, quella di correggere l’esperienza carente. Ci si concentra sull’incoraggiamento alla consapevolezza emotiva del paziente così come si presenta di fronte al terapeuta.

Durante le sedute il terapeuta è emotivamente presente, attento e incoraggia il paziente non solo a prestare attenzione ai suoi pensieri ma anche ai stati d’animo, alle reazioni emotive, ai cambiamenti che avvengono a livello del corpo. Quando il paziente piange, ad esempio,  bisogna provare ad allargare il campo e chiedere se riesce a spiegare come si sente, anche nel corpo, per collegare il sentimento con le reazioni che prova in quel momento. Questo consente di fare quell’apprendimento delle emozioni che non è avvenuto in passato. emozioni2

Lentamente, nel corso della terapia, la persona impara a connettersi con le proprie emozioni, questo restituisce il senso di ciò che gli accade dentro, di sentire quali sono i sentimenti che prova, e da lì comprendere i suoi desideri. In questo modo la persona impara a sentirsi di nuovo vivo.

I ragazzi e i social media

Per le nuove generazioni, la tecnologia è un ambiente da abitare, un’estensione della mente, una realtà che si unisce al mondo esterno.

Chattare su un social è molto più rassicurante che esporsi in una relazione concreta, permette di mettersi al riparo da possibili rifiuti e giudizi. I più giovani, vivono nei media digitali, li utilizzano per esprimere il proprio sé, per entrare in contatto con i propri amici, per informarsi, per affermare la propria personalità.

La costruzione dell’identità si realizza anche attraverso i social media, che hanno un profilo pubblico, si offre una rappresentazione di sé che è considerata non del tutto corrispondente alla realtà. In questo modo è possibile gestire le proprie insicurezze, debolezze mostrandosi per ciò che non si è, mettendo un filtro tra sé e gli altri, un filtro che non possiamo utilizzare nell’incontro reale con l’altro.

Per questo motivo chi soffre per i suoi sentimenti di svalutazione, paura del giudizio altrui, timore di non essere accettati, potrebbe trovare nei social un modo sicuro per gestire le relazioni sociali.

Questa soluzione potrebbe arrecare un soddisfacimento immediato dei bisogni di contatto e di relazione, ma si accompagna al rischio di intensificare l’isolamento, e di un decadenza delle competenze sociali che potrebbe determinare un aggravamento di sintomi depressivi.

Con questo non voglio affermare che tutti coloro che usano i social soffrono di depressione, ma che a volte questi mezzi di comunicazione possono essere utilizzati in modo eccessivo, Continue reading “I ragazzi e i social media”

L’aiuto della psicoterapia

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La psicoterapia aiuta le persone a raggiungere il loro livello di benessere lavorando con il dialogo e la relazione, con lo scopo di accompagnarli ad una maggiore consapevolezza su loro stessi e a un miglioramento della qualità di  vita.
Incontro persone che sperimentano sofferenza, disagi emotivi, che vivono situazioni di stress, conflittualità relazionale, momenti di crisi. Lavoro con loro per attivare processi di trasformazione, innescati da come una
persona sente di essere vista, riconosciuta, in sintonia nella relazione d’aiuto, e quindi in definitiva vitalizzata grazie alla capacità empatica e l’accettazione incondizionata della persona all’interno del percorso.
Mi occupo di consulenza individuale e di coppia, test psicologici, valutazione, diagnosi, psicoterapia.
La mia formazione è di stampo psicodinamico, che mira a guardare oltre il sintomo, per capire quali sentimenti e fantasie plasmano il comportamento e aiutando a divenire più consapevole di come si gestiscono le relazioni e le emozioni, stimolando la capacità della persona di riflettere e partecipare affettivamente alla propria esistenza.